Chiusi in una stanza, ma non sono depressi.

La loro stanza diventa il grembo materno dove rintanarsi e proteggersi dal mondo intero che avvertono come pericoloso e privo di interessi. Stiamo parlando di quello che succede a tutte quelle persone che hanno scelto l’esclusione dalla vita in società, ritirandosi in solitudine estrema. Il fenomeno e chi ne viene colpito viene definito “Hikikomori”, termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”,  e viene utilizzato per riferirsi a chi ha scelto di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, che variano da alcuni mesi a diversi anni, rinchiudendosi nella propria camera da letto senza avere nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.

Questo disagio sociale, che ha avuto origine in Giappone nella seconda metà degli anni ’80 e che è destinato a crescere, è un fenomeno ancora sconosciuto che riguarda principalmente giovani di sesso maschile di età compresa tra i 14 e i 30 anni. In Giappone gli hikikomori sarebbero più di un milione e mezzo, mentre in Italia si calcolano almeno 100 mila casi.

Pur essendo molto intelligenti e sensibili, gli hikikomori non si sentono in grado di frequentare la scuola e gli amici. Questi ragazzi non soffrono di depressione e non vogliono essere nemmeno aiutati perché sono convinti di stare bene, chiusi nella loro camera da letto. Si rifiutano di uscire, di vedere gente e di avere rapporti sociali. Vivono reclusi in quella stanza dove passano il tempo a leggere libri, a disegnare, a giocare con i videogiochi e navigare su internet o semplicemente a oziare. Si rifiutano persino di uscire dalla stanza per lavarsi o per mangiare, anzi chiedono che il cibo gli sia lasciato davanti alla porta per poi mangiarlo all’interno della stanza.

Le cause di questo fenomeno, spesso confuso con la depressione,  sono molteplici. C’è chi dà la colpa alle nuove tecnologie, ma il fenomeno è sorto prima dell’avvento del PC. Sta di fatto che l’isolamento può durare alcuni mesi, anni o addirittura decenni e, come sostengono gli esperti, non si risolve mai spontaneamente. Oltre al supporto della famiglia e delle persone più vicine a chi viene colpito da questo disturbo, è ovvia la necessità di un supporto psicologico.